“+ Europa” (non nel senso del partito politico) o “- Europa”?
Di certo, a oltre 22 anni (era il 1° gennaio 2022, ma i Trattati di Maastricht, dal nome della cittadina olandese in cui si riunirono i 12 Paese Membri di allora, risalgono al febbraio 1992) dalla nascita della moneta unica non sono pochi coloro che continuano a pensare che l’Europa (o meglio, la UE) sia, per il nostro Paese, un freno alla crescita (oltre che un forte limite alla sovranità nazionale). E anche tra quanti, comunque, non sono contrari, i “se” e i “ma” si sprecano.
E’ superfluo ricordare che l’Italia, sin dal 1957, con la nascita della Comunità Economica Europea (CEE), è stato uno dei Paesi che maggiormente ha voluto, di fatto, prima una collaborazione e poi un’integrazione tra Stati. Certamente una scelta epocale per un Paese storicamente e culturalmente da sempre frammentato e diviso tra città-stato, spesso racchiuse da mura per difenderle dai potenziali “invasori” (magari un’altra cittadina poco distante), e spesso dominata da regnanti stranieri che se l’erano spartita. Una storia, peraltro, che ancora oggi non l’ha abbandonata, come dimostra quanto sta succedendo in questi giorni in Parlamento con la “legge sull’autonomia regionale”.
Di fatto, quindi, siamo un Paese in cui convivono un’anima “comunitaria”, rivolta alla creazione di un’unica area che, partendo dalla moneta unica, dovrebbe ampliarsi ad altri settori (economia e difesa in primis), e un’altra, che, in nome delle tradizioni e della propria storia, vuole mantenere autonomie decisionali e ritenersi libera di decidere il proprio destino.
Una contrapposizione che probabilmente troverà terreno fertile nella decisione della Commissione Europea di avviare la procedura di inflazione, così come previsto dal Patto di Stabilità (peraltro ridiscusso e approvato solo pochi mesi fa, seppur dopo una lunga, faticosa ed estenuante trattativa). Siamo comunque in buona compagnia, visto che il provvedimento è stato deciso anche per altri 6 Paesi, tra cui la Francia, una “new entry” tra i Paesi meno virtuosi (gli altri sono il Belgio, Ungheria, Malta, Polonia e Slovacchia).
La procedura viene adottata allor quando uno Stato membro non rispetti i parametri definiti, appunto, dai Trattati. Nel nostro caso è dipeso dal fatto che, nel 2023, il nostro deficit di bilancio (la differenza tra entrate e uscite statali) è arrivato a toccare il 7,4% del Pil (cioè € 155 MD), un valore enormemente superiore al 3% fissato (va detto che non lo abbiamo praticamente mai rispettato). Il “grande occhio” della Commissione si traduce, per noi e per tutti i Paesi oggetto del provvedimento, nel dover apportare degli aggiustamenti, a partire da quest’anno e per i prossimi 6 anni (laddove i Governi decidano di avviare dei reali piani di riforme, altrimenti il periodo si riduce a 4 anni), pari allo 0,5% per anno (nel nostro caso si calcola possa essere dello 0,6% per 7 anni). Per inciso, quest’anno, secondo le previsioni della stessa UE, il nostro deficit dovrebbe attestarsi al 4,4%, per poi risalire al 4,7% l’anno prossimo (per fare l’esempio della Francia, ormai, a ragione, considerata l’altra “grande malata” d’Europa, la progressione è 5,5% per il 2023, 5,3% 2024, 5% 2025).
Un deficit, il nostro, va detto, ampiamente previsto, trascinato dalla “voragine” del 110% (siamo arrivati, secondo alcuni conti, vicini ai 150MD…). Fatto sta che è iniziata la “caccia” a circa € 20 MD per “blindare” la manovra per il 2025: opera non così semplice, vista la situazione economica che stiamo attraversando, con un PIL la cui crescita è stimata tra lo 0,6% nell’ipotesi più prudenziale all’1,1% in quella più espansiva (fonte governativa).
A “braccetto” con il deficit, come ovvio, va il rapporto debito/PIL. E qui si aprono scenari poco entusiasmanti. Già oggi partiamo da un rapporto che lascia poco spazio ai “voli pindarici”: il 140% ci avvicina più alla Grecia che non alle economie più solide. Ma quello che allarma qualche analista (e forse l’Europa) è la potenziale progressione: da qui a qualche anno (mica tanti: il 2034, 10 anni) potremmo arrivare al 168%. Probabilmente una stima che tiene conto che tra un paio di anni gli aiuti del PNRR (ricordiamolo ancora una volta, circa € 200 MD tra prestiti e sussidi a fondo perduto) cesseranno e, a quel punto, dovremmo far leva solo sulle nostre forze.
Una cosa che si può dire con una relativa certezza di non essere smentiti è che “siamo in buona compagnia”. Il riferimento non è all’Europa o ai 6 Paesi sopra citati, ma alla principale economia mondiale.
Gli Usa, infatti, si ritroveranno, per l’anno in corso, con un deficit di ben $ 1.915 MD, pari al 6,7% del PIL. Una cifra di molto superiore ai $ 1.695 MD dell’anno scorso e di $ 408 MD in più rispetto alle previsioni di soli 4 mesi fa. E già si ipotizza, per il 2025, un’ulteriore progressione a $ 1.938. Di questo passo, senza interventi correttivi, si prevede che tra 10 anni il debito americano arriverà a toccare qualcosa come $ 50.700 MD, vale a dire il 122% del PIL che si ipotizza verrà raggiunto nel 2034. Ma si sa, questo è un anno elettorale per quel Paese, e da sempre gli anni elettorali portano “un’allegra” gestione dei conti, con una politica fiscale che “non bada a spese”, alla caccia “dell’ultimo voto”. Anche da questo, va detto, arriva il contributo alla crescita americana, che continua a ritmi ben superiori a quella europea: un modo per bilanciare la “politica del rigore” che la Banca Centrale Usa non ha ancora abbandonato, visto che Powell continua a non toccare i tassi (né, pare, è intenzionato a farlo nel brevissimo). Una crescita che, secondo gli ennesimi calcoli che oramai quasi quotidianamente ci accompagnano, è stata, nel periodo 2019-2023 (e quindi “mettendoci” dentro il “collasso” del Covid) superiore di ben 5 punti a quella Europea (Usa batte UE 8% a 3%).
Ieri mercati “orfani” del faro di Wall Street, chiusa per festività.
Questa mattina borse del Pacifico contraddistinte da una modesta debolezza (Shanghai – 0,23%, Hang Seng di Hong Kong – 0,44%).
Si distingue il Nikkei di Tokyo, attorno alla parità.
Leggero rialzo per il Kospi di Seul (+ 0,5%), mentre l’India apre intorno alla parità.
Futures in rialzo su tutte le piazze, con crescite tra lo 0,20 e lo 0,45%.
Leggero ritracciamento per il petrolio (WTI a $ 80,58, – 0,27%).
Gas naturale Usa $ 2.885, – 1%.
In ripresa l’oro, a$ 2.355,90 (+ 0,29%).
Spread a 155,1 bp.
BTP che danza sempre nei pressi del 4% (3,95%).
Bund 2,40%.
Treasury 4,25%.
€/$ 1,0738.
Bitcoin che non ne vuol sapere di abbandonare il “porto sicuro” dei $ 65.000 (65.529, + 0,90% questa mattina).
Ps: l’Italia avrà anche tanti problemi, a partire dai conti statali. Ma non è terzo mondo. Non è accettabile che nel nostro Paese si possa morire così come è successo al bracciane indiano Satnam Singh, abbandonato vicino per strada agonizzante dopo aver perso un braccio (lasciato vicino a lui, appoggiato su una cassetta della frutta), dopo oltre un’ora e mezzo dall’incidente sul lavoro in un’azienda agricola vicino a Latina (per inciso, Latina dista una cinquantina di chilometri dal centro della nostra Capitale). L’Italia è un Paese dove si persegue legalmente chi abbandona un animale per strada: non possiamo girare lo sguardo di fronte a tragedie così disumane.